martedì 14 dicembre 2010

La seconda fuga della "Oliver Twist" schiava dell’elemosina

ROMA
Anche questa volta Daniela A. era scappata in una stazione, dentro a un treno
che portava al sole, senza un biglietto per arrivare e senza una valigia da
riempire. L'hanno trovata così, dieci giorni dopo, perché ricordavano la sua
faccia spaurita che scendeva da un vagone fermo a Piedimonte Matese. Daniela ha
12 anni, e nell'Italia sconosciuta dei bambini senza infanzia e senza Natale,
la sua storia è quella di un Oliver Twist del Duemila, la storia silenziosa di
una vita rubata, uguale a quella di più di 50 mila bambini come lei. L'ultima
volta che l'avevano vista, alcuni testimoni avevano raccontato che stava
bisticciando con la mamma davanti all'Ipercoop di Casalnuovo, vicino a Napoli,
«perché non voleva chiedere l'elemosina». Era il 3 dicembre. Non era tornata a
casa, una catapecchia di legno e di lamiere affogata nel fango in mezzo alle
altre baracche dei rom, vicino a una rotonda al confine con Acerra. Era fuggita
alla stazione e aveva preso il treno che andava verso Caserta.

Quand'era scesa, così piccola e spaventata, alcuni viaggiatori l'avevano
portata in una casa famiglia, dove era stata ripulita, rifocillata e accudita.
I genitori avevano denunciato la scomparsa due giorni dopo e solo domenica i
carabinieri avevano diffuso una sua foto.

Daniela era già scappata un'altra volta, quando aveva appena 7 anni. Anche
allora s'era rifiutata di chiedere la carità per strada, e aveva detto che si
vergognava di vendere quei piccoli oggetti che le davano per raccattare qualche
moneta in cambio. L'avevano ritrovata quattro giorno dopo, in provincia di
Avellino, su un treno come questo di Piedimonte Matese. L'avevano presa ed
erano bastati due sorrisi per riportarla dai genitori nel campo. Non aveva
fatto altro che viaggiare, in quel breve tempo della sua fuga, dormendo sulle
panchine e nelle sale d'attesa delle piccole stazioni o sulle poltrone sfondate
dei vagoni, assieme a barboni e derelitti. Il giorno che l'avevano ritrovata
per portarla a casa, lei aveva detto che in fondo c'era una cosa che le
piaceva, come per farsi accettare l'idea: «Quando piove giochiamo a
nascondino». Quelle baracche immerse nel fango, sullo spiazzo di via Siviglia,
vicino alla rotonda di Casalnuovo «sono piene di angoli dove puoi ficcarti
senza essere visto». L'aveva sussurrato come se fosse una cosa bella. Questa
volta, però, i carabinieri che l'hanno ritrovata stanno pensando di lasciarla
nella casa famiglia, in attesa di chiarire con le indagini il suo rapporto con
la famiglia rom: conta di più il diritto della natura o quello della cultura?
Daniela ce l'avrebbe una sua risposta. Anche adesso che fa così freddo e il
cielo è così basso, è riuscita a dire che sognava di veder la neve, fiocchi
grossi come batuffoli di cotone che danzano nel cono di luce gialla di un
lampione, che in fondo sarebbe un sogno così banale se non fosse quello di una
bambina senza infanzia, e senza i disegni delle favole.

La cosa più tragica è che fenomeni così ce ne sono più di quello che possiamo
pensare, come assicura Carlotta Bellini, responsabile italiana di Save the
Children: «Lo sfruttamento fino alla riduzione in schiavitù è un fenomeno molto
diffuso che coinvolge tantissimi minori». Nel mondo, le vittime sono
addirittura stimate in 2,7 milioni. Secondo i dati ufficiali, in Italia sono
54.559. Quelli che hanno aderito a un progetto di protezione sono 13.517.
Secondo il dossier di Save the Children, però «questi numeri sarebbero
sottostimati, perché moltissimi minori rimangono invisibili».

Dentro a questa schiavitù da angiporti dickensiani, c'è di tutto, dal sesso
all'accattonaggio allo sfruttamento del lavoro, come succede molto spesso nei
campi di pomodoro e negli aranceti del meridione, dove i caporali della
'ndrangheta e della camorra costringono dei minorenni africani a turni
massacranti per pochi spiccioli. Bambini dell'India e del Bangladesh e altri
ragazzi di colore sono impiegati invece nell'allevamento di bestiame.
Adolescenti nigeriane e dell'Europa dell'Est vengono fatte prostituire, mentre
la Procura di Roma aveva avviato delle indagini su un traffico di minori dall'
Albania verso la Grecia e l'Italia per espianti illegali.

Tra i Rom, infine, il fenomeno dell'accattonaggio è molto diffuso ed è quasi
accettato. Una indagine congiunta della polizia italiana e francese ha
sgominato proprio poco tempo fa una banda di bosniaci e croati che sfruttava
dei bambini spostandoli da Roma a Parigi come pacchi postali. Cinque persone
sono state arrestate. In testa alla piramide c'era il patriarca, Fehim
Hamidovic detto Feo, di 58 anni, al quale erano destinati tutti i proventi dei
reati commessi dai piccoli nelle stazioni delle metropolitane, rubando qualche
portafoglio e chiedendo l'elemosina inginocchiati per terra sopra un sudicio
cartone, se avevano meno di 3 anni. Non è che facessero cifre straordinarie:
500 euro al giorno, come risulterebbe dalle confessioni sui verbali, ma per
Fehim e la sua famiglia era un ottimo stipendio. E a dire il vero, lo faceva
quasi tutto lei, una ragazzina di 12 anni, che gli inquirenti non hanno mai
saputo come si chiamasse veramente, perché aveva un mucchio di nomi falsi e
tutte le volte che la fermavano, lei ne dava uno nuovo. Fehim ha detto, con
terribile cinismo, che «era una fuoriclasse», rendendo a Madeline o a Uana, o a
chiunque lei fosse nella realtà, una statura quasi assurda nella sua iperbole,
come se la sua schiavitù potesse appartenere a una categoria superiore. «La sua
specialità era lo scippo», avevano confessato gli altri della banda. Ma la cosa
più crudele alla fine è che lei e Daniela, proprio come in un romanzo di
Dickens, sono le due facce della stessa medaglia, come se fossero quasi la
stessa persona o come se avessero la stessa vita, tutt'e due bambine sconfitte,
senza un Natale e senza una favola da poter ascoltare.

con lastampa.it

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