Il benessere emotivo è una curva a U: con la piena maturità diventa stabile
La vita comincia a 46 anni. È quella l'età del più profondo scontento: poi si
risale. A questa conclusione giunge The Economist, e ci dedica la copertina del
numero doppio di Natale. Qualche malizioso sospetterà che 46 anni sia l'età
media dei lettori del settimanale. Se soffrono di paturnie prenatalizie,
sappiano che in futuro andrà meglio. Ma non è così. L'ossessione di
quantificare la felicità è diventata la nuova ansia del mondo: i bravi
giornalisti - soprattutto se hanno un'età tra i quaranta e i cinquanta - non
possono non accorgersene. Ormai non si parla solo di GDP (Gross Domestic
Product, prodotto interno lordo) ma anche di GNH (Gross National Happiness,
felicità lorda nazionale). Ha cominciato il Buthan, Sarkozy in Francia e
Cameron in Gran Bretagna si sono detti interessati (Berlusconi no: al momento,
per lui, più della felicità conta la fiducia). Una serie di studi recenti
indica che il benessere emotivo è una curva a U. Si parte bene, da giovani. Si
scende in fretta. Poi si comincia a risalire, fino ad arrivare a una stabilità
che somiglia molto alla serenità. Quando avviene l'inversione? Lo abbiamo
detto. A 46 anni.
NADIR VARIABILE - I lettori quarantacinquenni, quindi, si consolino: manca
poco. I lettori ventenni, d'altro canto, non si preoccupino: c'è tempo. I
lettori anziani, infine, si rallegrino: non c'è mai stato periodo migliore per
invecchiare. Partendo dalla battuta di Maurice Chevalier («La vecchiaia non è
così male, se consideriamo l'alternativa»), l'Economist sfodera una serie di
informazioni interessanti, come lo studio di David Blanchflower di Dartmouth
College, che ha studiato i dati provenienti da 72 Paesi del mondo. Il nadir -
il punto più basso - del benessere personale cambia da nazione a nazione. Per
gli svizzeri è 35 anni, per gli ucraini 62. Ma la media è - ripetiamolo ancora
- 46 anni. Qualcuno potrà obiettare: c'è bisogno di uno studio americano per
sapere che tra i quaranta e i cinquanta arriva la midlife crisis? La crisi di
mezza età per cui ogni uomo (maschio) si butta in qualcosa di strano: un
investimento rischioso, una segretaria procace, un'auto veloce o un hobby
ossessivo. Una donna al suo fianco deve assistere allo spettacolo (di solito
mentre si occupa di genitori cocciuti e figli adolescenti scatenati).
VALORE ALLE COSE - Portando una scarica di opinioni accademiche a sostegno
della propria tesi, l'Economist indica alcuni elementi - diversi dai progressi
della medicina - che rendono la terza parte dell'esistenza degna d'essere
vissuta. «Quando i giovani guardano agli anziani pensano che è terrificante
sapere di essere vicini alla fine della vita», scrive il settimanale. Ma le
persone anziane hanno imparato una cosa importante: dare valore alle cose che
contano. Sono meno ambiziose e più tolleranti. Dice Laura Carstensen,
professore di psicologia a Stanford: «I giovani vanno ai cocktail sperando di
incontrare qualcuno che gli tornerà utile. Gli anziani ci vanno se ne hanno
voglia». Di solito, non ce l'hanno. E questo è saggio, conclude l'accademica:
«Perché nessuno ha veramente voglia di andare ai cocktail».
WHO E BEATLES - Pete Townsend degli Who - nel 1965, quando aveva vent'anni -
cantava: «Things they do look awful cold/Hope I die before I get old» (le cose
che fanno sembrano squallide parecchio/ spero di morire prima di diventar
vecchio). I Beatles, due anni dopo, rispondevano: «When I get older losing my
hair/Many years from now/Will you still be sending me the Valentine/Birthday
greetings, bottle of wine» (quando divento vecchio e perdo i capelli/tra molti
anni/mi manderai ancora un biglietto per San Valentino/gli auguri per il
compleanno/una bottiglia di vino). Molto tempo dopo, con il conforto
dell'Economist, possiamo dirlo: «When I'm sixty-four» batte «My generation». E
64 - se ci pensate - è il contrario di 46.
con corriere.it
Nessun commento:
Posta un commento