I Banchieri, il lessico familiare dell'Italia antifascista
Walter Veltroni - L'UnitàOggi a Padova, con il sindaco Zanonato, la presentazione del libro fotografico dedicato a una famiglia chiave della Resistenza
Una storia dal «carattere straordinario», così Alfredo Reichlin ha definito la vicenda della famiglia Banchieri, ed è davvero difficile non convenire con lui.
Dalle pagine che seguono, da quelle dello stesso Reichlin, dai saggi di Adriana Lotto e di Antonio Bechelloni, così come dalle foto e dai documenti d'archivio che completano il libro, emerge il ritratto di una famiglia il cui cammino è profondamente intrecciato, per un lungo tratto, con la storia italiana del Novecento. Con la sua prima metà, soprattutto. Con la parte più dura, più dolorosa, del secolo scorso.
Giovanni Banchieri, d'altra parte, nacque nel 1890, e per lui, avvocato figlio di un avvocato, la prima guerra mondiale, l'«inutile strage» che segnò l'inizio del trentennio che sconvolse l'Europa e il mondo, fu un avvenimento destinato a lasciare un segno profondo, a cominciare proprio dalle idee e dagli orientamenti politici.
Il suo interventismo, certo non di stampo nazionalista ma vicino alle aspirazioni dei gruppi radicali e democratici, e dei socialisti riformisti, lasciò spazio alle posizioni e alle elaborazioni del socialismo massimalista.
Il motivo? Non teorie e testi dottrinari, ma il contatto sul fronte, nelle trincee, con i contadini, i muratori, i pastori, gli operai provenienti da tutte le regioni italiane, dal Sud lontano e quasi separato dal resto del Paese. La loro condizione sociale, le domande e i bisogni di cui erano portatori, i diritti che erano loro negati, finirono al centro dei suoi interessi, del suo impegno civile e politico, della sua attività di amministratore, finita la guerra, a Feltre, quando non a caso volle occuparsi soprattutto di asili e scuole, convinto che l'istruzione fosse fondamentale per il cammino di emancipazione delle classi più povere.
Il suo antifascismo fu dunque assolutamente «naturale», immediato, convinto. E altrettanto ovvie, e puntuali, furono le ritorsioni, le intimidazioni, le azioni delle squadre fasciste nei suoi confronti, fino all'ultimo episodio, nel 1925, che lo convinse a lasciare l'Italia con la moglie e tutti i suoi figli. La destinazione scelta, prima a Tolosa e poi a Parigi, fu la Francia, e fu qui che Banchieri contribuì a scrivere la ricca e movimentata pagina della cosiddetta «emigrazione antifascista», militando nella Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo ed entrando a contatto con uomini come Luigi Campolonghi e Silvio Trentin, come Emilio Lussu e Carlo Rosselli.
L'avvicinamento al Pci ebbe a che fare anche con le condizioni di vita estremamente difficili in cui la famiglia si ritrovò a vivere quando Banchieri dovette passare dallo studio legale dove lavorava all'attività di manovale edile. Questa vera e propria «proletarizzazione» si risolse, alla fine, quasi in una scelta esistenziale, fatta con assoluta semplicità e convinzione, come a voler vivere concretamente le stesse condizioni e le stesse sensazioni di quegli «oppressi» che erano stati sempre stati al cuore dell'impegno di Giovanni Banchieri.
Lo stesso impegno fu sempre anche dei suoi figli. Di Giuseppe per primo, il più grande, quello che accettò di tornare in Italia per una missione estremamente delicata e pericolosa e che per questo pagò con l'arresto e il confino a Ponza, insieme a dirigenti del calibro di Pietro Secchia, di Umberto Terracini, di Mauro Scoccimarro.
Ma quell'impegno fu anche di Claudia, che sposò Giuliano Pajetta, e degli altri.
Il rientro in patria, l'incontro tra il padre e il figlio più grande al confino di Ventotene, il momento «alto» di un'intera generazione rappresentato dalla Resistenza, la caduta di Mussolini, la Liberazione e gli anni in cui furono gettate le basi della difficile ricostruzione non solo materiale, ma anche «morale», spirituale, della nazione: è tutto questo che riempie queste pagine, che prima ancora riempì le vite dei membri di una famiglia tanto straordinaria come i Banchieri.
In fondo questo libro non è solo il racconto della loro storia, non è solo un giusto omaggio a loro: è il racconto di quella che in anni bui fu la parte migliore del nostro Paese, è l'omaggio ad almeno due generazioni che nell'attività antifascista e nella Resistenza animarono le ragioni e l'impegno che restituì all'Italia libertà e democrazia.
Una storia dal «carattere straordinario», così Alfredo Reichlin ha definito la vicenda della famiglia Banchieri, ed è davvero difficile non convenire con lui.
Dalle pagine che seguono, da quelle dello stesso Reichlin, dai saggi di Adriana Lotto e di Antonio Bechelloni, così come dalle foto e dai documenti d'archivio che completano il libro, emerge il ritratto di una famiglia il cui cammino è profondamente intrecciato, per un lungo tratto, con la storia italiana del Novecento. Con la sua prima metà, soprattutto. Con la parte più dura, più dolorosa, del secolo scorso.
Giovanni Banchieri, d'altra parte, nacque nel 1890, e per lui, avvocato figlio di un avvocato, la prima guerra mondiale, l'«inutile strage» che segnò l'inizio del trentennio che sconvolse l'Europa e il mondo, fu un avvenimento destinato a lasciare un segno profondo, a cominciare proprio dalle idee e dagli orientamenti politici.
Il suo interventismo, certo non di stampo nazionalista ma vicino alle aspirazioni dei gruppi radicali e democratici, e dei socialisti riformisti, lasciò spazio alle posizioni e alle elaborazioni del socialismo massimalista.
Il motivo? Non teorie e testi dottrinari, ma il contatto sul fronte, nelle trincee, con i contadini, i muratori, i pastori, gli operai provenienti da tutte le regioni italiane, dal Sud lontano e quasi separato dal resto del Paese. La loro condizione sociale, le domande e i bisogni di cui erano portatori, i diritti che erano loro negati, finirono al centro dei suoi interessi, del suo impegno civile e politico, della sua attività di amministratore, finita la guerra, a Feltre, quando non a caso volle occuparsi soprattutto di asili e scuole, convinto che l'istruzione fosse fondamentale per il cammino di emancipazione delle classi più povere.
Il suo antifascismo fu dunque assolutamente «naturale», immediato, convinto. E altrettanto ovvie, e puntuali, furono le ritorsioni, le intimidazioni, le azioni delle squadre fasciste nei suoi confronti, fino all'ultimo episodio, nel 1925, che lo convinse a lasciare l'Italia con la moglie e tutti i suoi figli. La destinazione scelta, prima a Tolosa e poi a Parigi, fu la Francia, e fu qui che Banchieri contribuì a scrivere la ricca e movimentata pagina della cosiddetta «emigrazione antifascista», militando nella Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo ed entrando a contatto con uomini come Luigi Campolonghi e Silvio Trentin, come Emilio Lussu e Carlo Rosselli.
L'avvicinamento al Pci ebbe a che fare anche con le condizioni di vita estremamente difficili in cui la famiglia si ritrovò a vivere quando Banchieri dovette passare dallo studio legale dove lavorava all'attività di manovale edile. Questa vera e propria «proletarizzazione» si risolse, alla fine, quasi in una scelta esistenziale, fatta con assoluta semplicità e convinzione, come a voler vivere concretamente le stesse condizioni e le stesse sensazioni di quegli «oppressi» che erano stati sempre stati al cuore dell'impegno di Giovanni Banchieri.
Lo stesso impegno fu sempre anche dei suoi figli. Di Giuseppe per primo, il più grande, quello che accettò di tornare in Italia per una missione estremamente delicata e pericolosa e che per questo pagò con l'arresto e il confino a Ponza, insieme a dirigenti del calibro di Pietro Secchia, di Umberto Terracini, di Mauro Scoccimarro.
Ma quell'impegno fu anche di Claudia, che sposò Giuliano Pajetta, e degli altri.
Il rientro in patria, l'incontro tra il padre e il figlio più grande al confino di Ventotene, il momento «alto» di un'intera generazione rappresentato dalla Resistenza, la caduta di Mussolini, la Liberazione e gli anni in cui furono gettate le basi della difficile ricostruzione non solo materiale, ma anche «morale», spirituale, della nazione: è tutto questo che riempie queste pagine, che prima ancora riempì le vite dei membri di una famiglia tanto straordinaria come i Banchieri.
In fondo questo libro non è solo il racconto della loro storia, non è solo un giusto omaggio a loro: è il racconto di quella che in anni bui fu la parte migliore del nostro Paese, è l'omaggio ad almeno due generazioni che nell'attività antifascista e nella Resistenza animarono le ragioni e l'impegno che restituì all'Italia libertà e democrazia.
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Francis*PAC
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