Lodo «salva-Rete4», battaglia in Aula
Roberto Brunelli - L'UnitàBenvenuti nella XVI legislatura: guarda caso, dietro la prima guerra guerreggiata di Montecitorio si staglia la tentacolare ombra del Biscione. Uno scontro vero, duro, quello che ieri ha scosso la Camera, tra le matricole ancora un po' spaesate e le commissioni ancora tutte da insediare. «Opposizione dura», dicono all'unisono dal Pd e dall'Idv, che marciano compatti contro l'inserimento, da parte del governo, di un emendamento-trappola volto a salvare Rete4.
Ancora una volta, prima di tutto ci sono gli interessi del Grande Capo, Silvio IV, e il dialogo va a farsi benedire. Walter Veltroni non pare affatto buonista quando, in Transatlantico, sibila le seguenti parole: «Questo provvedimento è sbagliato nel merito e nel metodo. È sbagliato, e loro hanno l'opposizione che si meritano». Traduzione: ostruzionismo, senza se e senza ma, tanto da far slittare il voto fino a martedì, se non oltre.
Dai banchi dell'opposizione in 79 si sono iscritti a parlare. Interventi di fuoco: Giovanna Melandri, ministro-ombra per le comunicazioni, parla del «vizio storico della maggioranza di inserire norme di favore per gli interessi del presidente del Consiglio», Silvana Mura dell'Idv parla di un «clamoroso atto di arroganza politica» e ritiene che il governo stia ponendo «una pietra tombale sul dialogo». Persino Buttiglione e Cesa dell'Udc chiedono che l'emendamento venga ritirato, e il capogruppo dei democratici Antonello Soro attacca: «Aver vinto le elezioni non vuol dire fare ciò che si vuole. Qui si torna indietro di dieci anni». Michele Meta, anche lui Pd: «Tutta questa urgenza di sanare un'infrazione Ue oggi?
E durante la scorsa legislatura dove eravate? Quando noi sollecitavamo il parlamento ad affrontare la riforma del sistema radiotelevisivo, per dare al Paese una cornice normativa certa e in linea con le prescrizioni europee?».
Infine l'affondo dell'ex ministro Paolo Gentiloni, che la norma la smonta comma per comma: «Così si mette le braghe a tutto il sistema tv, congelando la situazione esistente ed impedendo l'ingresso di nuovi soggetti. Non solo. In questo modo il governo mette anche le mani avanti sul Consiglio di Stato, che in queste settimane sta decidendo come dare attuazione alla sentenza della Corte europea».
Insomma, è guerra aperta. Il clima si è riscaldato da subito, quando il presidente Fini ha dichiarato «ammissibile» la discussione sulla norma, nonostante gli argomenti contrari ci fossero tutti: l'emendamento è stato infilato di soppiatto dentro un decreto di materia comunitaria - perdipiù un decreto del governo Prodi - prim'ancora che venissero insediate le nuove commissioni.
Non solo: tocca una legge, la Gasparri, colpita da una pesante sentenza della Corte di giustizia europea. Una sentenza che la destra berlusconizzata vorrebbe «aggirare»: l'emendamento è scritto ed elaborato per permettere all'emittente del Tg4 di Emilio Fede di continuare a trasmettere virtualmente all'infinito sulle frequenze e ai danni di Europa7, che aveva regolarmente vinto la concessione ma le cui telecamere sono sempre rimaste spente. «È tornato di scena, eccome, il conflitto d'interessi»: è amaro il commento del senatore Pd Vincenzo Vita.
C'è poi un altro aspetto. «Ancora una volta saranno gli italiani a pagare per Silvio Berlusconi», diceva ieri Antonio Di Pietro. Non solo perché il sistema-tv rimane «imbalsamato» nell'esistente. Ma anche perché lo Stato pagherà tra i 300 ai 400 mila euro al giorno per inadempienza alla sentenza europea. Oltretutto, ragionavano ieri alcuni deputati Pd e Idv, è assai improbabile che la Corte europea si beva la norma «salva Rete4» così com'è: la sentenza colpiva la Gasparri in molti suoi passaggi cruciali, mentre l'emendamento di oggi si occupa esclusivamente del passaggio sulle frequenze.
Argomenti che per la destra non contano assolutamente nulla.
Il sottosegretario competente, ossia Paolo Romani, in Aula non ha battuto ciglio: «Rete4 non c'entra nulla». Sostiene, il fedelissimo di Silvio, che l'emendamento non propone «nessuna sanatoria», ma che vuole solo «rispondere ai rilievi mossi dalla Commissione europea». Per un Romani che parla politichese, e per un Bonaiuti che alza le sopracciglia («tanto rumore per nulla...»), risulta quantomai emblematica l'uscita del presidente Mediaset Fedele Confalonieri: «Il provvedimento del governo? Sacrosanto». Ed è proprio al Biscione che fa le pulci il deputato Pd Roberto Zaccaria: «Stamani il titolo Mediaset perdeva lo 0,69%, nell'ultimo mese ha perso il 10,24%, negli ultimi sei mesi il 19,65%, nell'ultimo anno il 35,5%. Il vero regista di quest'operazione è Confalonieri...». Frase questa che ha scatenato le ire del Confalonieri medesimo, il quale ha annunciato di voler querelare Zaccaria.
Che succederà adesso? Davvero già si recita il «de profundis» della stagione del dialogo? Tra i banchi del Pd è forte la sensazione che la maggioranza non ritirerà mai l'emendamento «salva Rete4»: pare che la strategia sia quella di volare basso aspettando che passi la bufera per poi votarsi la norma, contro tutto e tutti. Nel frattempo, però, la maggioranza ha «blindato» la commissione Comunicazioni e Trasporti, competente per le questioni di natura televisiva, con il pasdaran berlusconiano Mario Valducci alla presidenza, e dentro nientemeno che Deborah Bergamini e Luca Barbareschi, tanto per gradire.
In altre parole: prima di ogni altra cosa, si tratta di «mettere in sicurezza» le aziende del Capo. Se è così, se il buongiorno si vede dal mattino, la vita del dialogo pare segnata. ...che dicevamo? Benvenuti nella XVI legislatura.
Ancora una volta, prima di tutto ci sono gli interessi del Grande Capo, Silvio IV, e il dialogo va a farsi benedire. Walter Veltroni non pare affatto buonista quando, in Transatlantico, sibila le seguenti parole: «Questo provvedimento è sbagliato nel merito e nel metodo. È sbagliato, e loro hanno l'opposizione che si meritano». Traduzione: ostruzionismo, senza se e senza ma, tanto da far slittare il voto fino a martedì, se non oltre.
Dai banchi dell'opposizione in 79 si sono iscritti a parlare. Interventi di fuoco: Giovanna Melandri, ministro-ombra per le comunicazioni, parla del «vizio storico della maggioranza di inserire norme di favore per gli interessi del presidente del Consiglio», Silvana Mura dell'Idv parla di un «clamoroso atto di arroganza politica» e ritiene che il governo stia ponendo «una pietra tombale sul dialogo». Persino Buttiglione e Cesa dell'Udc chiedono che l'emendamento venga ritirato, e il capogruppo dei democratici Antonello Soro attacca: «Aver vinto le elezioni non vuol dire fare ciò che si vuole. Qui si torna indietro di dieci anni». Michele Meta, anche lui Pd: «Tutta questa urgenza di sanare un'infrazione Ue oggi?
E durante la scorsa legislatura dove eravate? Quando noi sollecitavamo il parlamento ad affrontare la riforma del sistema radiotelevisivo, per dare al Paese una cornice normativa certa e in linea con le prescrizioni europee?».
Infine l'affondo dell'ex ministro Paolo Gentiloni, che la norma la smonta comma per comma: «Così si mette le braghe a tutto il sistema tv, congelando la situazione esistente ed impedendo l'ingresso di nuovi soggetti. Non solo. In questo modo il governo mette anche le mani avanti sul Consiglio di Stato, che in queste settimane sta decidendo come dare attuazione alla sentenza della Corte europea».
Insomma, è guerra aperta. Il clima si è riscaldato da subito, quando il presidente Fini ha dichiarato «ammissibile» la discussione sulla norma, nonostante gli argomenti contrari ci fossero tutti: l'emendamento è stato infilato di soppiatto dentro un decreto di materia comunitaria - perdipiù un decreto del governo Prodi - prim'ancora che venissero insediate le nuove commissioni.
Non solo: tocca una legge, la Gasparri, colpita da una pesante sentenza della Corte di giustizia europea. Una sentenza che la destra berlusconizzata vorrebbe «aggirare»: l'emendamento è scritto ed elaborato per permettere all'emittente del Tg4 di Emilio Fede di continuare a trasmettere virtualmente all'infinito sulle frequenze e ai danni di Europa7, che aveva regolarmente vinto la concessione ma le cui telecamere sono sempre rimaste spente. «È tornato di scena, eccome, il conflitto d'interessi»: è amaro il commento del senatore Pd Vincenzo Vita.
C'è poi un altro aspetto. «Ancora una volta saranno gli italiani a pagare per Silvio Berlusconi», diceva ieri Antonio Di Pietro. Non solo perché il sistema-tv rimane «imbalsamato» nell'esistente. Ma anche perché lo Stato pagherà tra i 300 ai 400 mila euro al giorno per inadempienza alla sentenza europea. Oltretutto, ragionavano ieri alcuni deputati Pd e Idv, è assai improbabile che la Corte europea si beva la norma «salva Rete4» così com'è: la sentenza colpiva la Gasparri in molti suoi passaggi cruciali, mentre l'emendamento di oggi si occupa esclusivamente del passaggio sulle frequenze.
Argomenti che per la destra non contano assolutamente nulla.
Il sottosegretario competente, ossia Paolo Romani, in Aula non ha battuto ciglio: «Rete4 non c'entra nulla». Sostiene, il fedelissimo di Silvio, che l'emendamento non propone «nessuna sanatoria», ma che vuole solo «rispondere ai rilievi mossi dalla Commissione europea». Per un Romani che parla politichese, e per un Bonaiuti che alza le sopracciglia («tanto rumore per nulla...»), risulta quantomai emblematica l'uscita del presidente Mediaset Fedele Confalonieri: «Il provvedimento del governo? Sacrosanto». Ed è proprio al Biscione che fa le pulci il deputato Pd Roberto Zaccaria: «Stamani il titolo Mediaset perdeva lo 0,69%, nell'ultimo mese ha perso il 10,24%, negli ultimi sei mesi il 19,65%, nell'ultimo anno il 35,5%. Il vero regista di quest'operazione è Confalonieri...». Frase questa che ha scatenato le ire del Confalonieri medesimo, il quale ha annunciato di voler querelare Zaccaria.
Che succederà adesso? Davvero già si recita il «de profundis» della stagione del dialogo? Tra i banchi del Pd è forte la sensazione che la maggioranza non ritirerà mai l'emendamento «salva Rete4»: pare che la strategia sia quella di volare basso aspettando che passi la bufera per poi votarsi la norma, contro tutto e tutti. Nel frattempo, però, la maggioranza ha «blindato» la commissione Comunicazioni e Trasporti, competente per le questioni di natura televisiva, con il pasdaran berlusconiano Mario Valducci alla presidenza, e dentro nientemeno che Deborah Bergamini e Luca Barbareschi, tanto per gradire.
In altre parole: prima di ogni altra cosa, si tratta di «mettere in sicurezza» le aziende del Capo. Se è così, se il buongiorno si vede dal mattino, la vita del dialogo pare segnata. ...che dicevamo? Benvenuti nella XVI legislatura.
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Francis*PAC
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