Olmert: svolta storica la ripresa dei contatti con la Siria
Umberto De Giovannangeli - L'Unità «Una svolta storica». Così il premier israeliano Ehud Olmert definisce la ripresa dei contatti con la Siria. In una dichiarazione rilasciata al quotidiano Haaretz,Olmert sostiene che vi è stato «uno sviluppo nella posizione siriana» e aggiunge: «Questi scambi sono in corso da lungo tempo e ora sono maturati».
La ripresa dei dei negoziati tra Gerusalemme e Damasco e l'ipotesi di un eventuale ritiro israeliano dalle alture del Golan ha provocato un acceso dibattito in Israele, tanto nella classe politica che nell'opinione pubblica, in maggioranza ostile a un ritiro dal Golan: il 70% degli israeliani, secondo il sondaggio della seconda rete televisiva israeliana, il 64% stando a un sondaggio della radio militare. Inoltre, il 64% degli israeliani intervistati, collega l'annuncio della ripresa dei negoziati con la Siria, all'affaire di corruzione in cui è coinvolto il premier; un modo insomma per distrarre l'opinione pubblica.
Ciò che non può distrarre è l'esplosiva situazione a Gaza. Una terribile deflagrazione, avvenuta alle sei e mezzo di mattina, ha agghiacciato il sangue nelle vene dei palestinesi di Gaza e degli israeliani del Neghev. Lo scoppio di un camion bomba con quattro tonnellate di esplosivo (quantità record dall'inizio dell'intifada) a poche decine di metri dal valico di Erez, porta di ingresso in Israele, pur se non ha provocato vittime all'infuori dell'attentatore suicida, ha chiarito in maniera sinistra che restano aleatorie le prospettive di una tregua fra Israele e Hamas, mediata al Cairo dall'Egitto. Il camion e il suo autista si sono polverizzati. Lamiere contorte sono state trovate anche a un chilometro di distanza.
C'è ora palpabile sconforto nelle strade di Gaza, dove si paventa un'escalation militare. E nei vicini villaggi agricoli israeliani del Neghev, anche ieri colpiti dai mortai palestinesi, la popolazione vive nella desolazione. Decine di famiglie sono state costrette a sfollare, per concedersi brevi periodi di relax. Al termine dei quali tornano alle loro case, ossia al fronte.
«Quando la mattina ci sono densi banchi di nebbia, eleviamo automaticamente l'allerta», ha spiegato un ufficiale israeliano al valico di Erez. Dunque la deflagrazione del camion (che pure ha provocato ingenti danni materiali alle strutture del valico) non ha causato vittime fra i militari, che si trovavano in luoghi protetti.
Ora il valico resterà chiuso: brutte notizie per decine di malati gravi palestinesi che ogni giorno lo attraversano per ricevere cure mediche in Israele. L'attentato di Erez è stato rivendicato dai miliziani della Jihad islamica e di al-Fatah. È presumibile che non avrebbero intrapreso un attacco di tale portata (che forse prevedeva anche il rapimento di soldati) senza un tacito assenso di Hamas.
Nella tarda mattinata comunque Hamas ha pilotato la collera popolare verso un altro valico: quello commerciale di Karni (Mintar). Alcune migliaia di dimostranti si sono stipati a breve distanza dai recinti di confini, i soldati israeliani hanno cercato di tenere la folla a distanza di sicurezza, sono stati sparati gas lacrimogeni, proiettili rivestiti di gomma e anche munizioni vere e alla fine degli incidenti un palestinese è rimasto ucciso e altri 15 feriti o intossicati. Nelle settimane scorse Hamas aveva attaccato con complesse operazioni militari anche i valichi di Nahal Oz (due israeliani uccisi) e di Kerem Shalom.
In Israele c'è sbigottimento: «Ma come? - ha osservato un commentatore della radio militare - I palestinesi insistono per la apertura dei valichi e poi li attaccano, anche con autobombe ?»
Proprio la questione dei valichi è stata al centro dei colloqui del Cairo di una delegazione di Hamas. Secondo il leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, non è accettabile che una tregua fra Israele e Hamas non includa anche la fine dell'isolamento della Striscia, ossia la riapertura dei valichi chiusi ormai da un anno. Ieri dal Cairo hanno fatto ritorno due esponenti di Hamas, Jamal Abu Hashem e Halil al-Haya. Prevedono di consultarsi con la loro direzione politica. Poi forse faranno un annuncio pubblico.
La ripresa dei dei negoziati tra Gerusalemme e Damasco e l'ipotesi di un eventuale ritiro israeliano dalle alture del Golan ha provocato un acceso dibattito in Israele, tanto nella classe politica che nell'opinione pubblica, in maggioranza ostile a un ritiro dal Golan: il 70% degli israeliani, secondo il sondaggio della seconda rete televisiva israeliana, il 64% stando a un sondaggio della radio militare. Inoltre, il 64% degli israeliani intervistati, collega l'annuncio della ripresa dei negoziati con la Siria, all'affaire di corruzione in cui è coinvolto il premier; un modo insomma per distrarre l'opinione pubblica.
Ciò che non può distrarre è l'esplosiva situazione a Gaza. Una terribile deflagrazione, avvenuta alle sei e mezzo di mattina, ha agghiacciato il sangue nelle vene dei palestinesi di Gaza e degli israeliani del Neghev. Lo scoppio di un camion bomba con quattro tonnellate di esplosivo (quantità record dall'inizio dell'intifada) a poche decine di metri dal valico di Erez, porta di ingresso in Israele, pur se non ha provocato vittime all'infuori dell'attentatore suicida, ha chiarito in maniera sinistra che restano aleatorie le prospettive di una tregua fra Israele e Hamas, mediata al Cairo dall'Egitto. Il camion e il suo autista si sono polverizzati. Lamiere contorte sono state trovate anche a un chilometro di distanza.
C'è ora palpabile sconforto nelle strade di Gaza, dove si paventa un'escalation militare. E nei vicini villaggi agricoli israeliani del Neghev, anche ieri colpiti dai mortai palestinesi, la popolazione vive nella desolazione. Decine di famiglie sono state costrette a sfollare, per concedersi brevi periodi di relax. Al termine dei quali tornano alle loro case, ossia al fronte.
«Quando la mattina ci sono densi banchi di nebbia, eleviamo automaticamente l'allerta», ha spiegato un ufficiale israeliano al valico di Erez. Dunque la deflagrazione del camion (che pure ha provocato ingenti danni materiali alle strutture del valico) non ha causato vittime fra i militari, che si trovavano in luoghi protetti.
Ora il valico resterà chiuso: brutte notizie per decine di malati gravi palestinesi che ogni giorno lo attraversano per ricevere cure mediche in Israele. L'attentato di Erez è stato rivendicato dai miliziani della Jihad islamica e di al-Fatah. È presumibile che non avrebbero intrapreso un attacco di tale portata (che forse prevedeva anche il rapimento di soldati) senza un tacito assenso di Hamas.
Nella tarda mattinata comunque Hamas ha pilotato la collera popolare verso un altro valico: quello commerciale di Karni (Mintar). Alcune migliaia di dimostranti si sono stipati a breve distanza dai recinti di confini, i soldati israeliani hanno cercato di tenere la folla a distanza di sicurezza, sono stati sparati gas lacrimogeni, proiettili rivestiti di gomma e anche munizioni vere e alla fine degli incidenti un palestinese è rimasto ucciso e altri 15 feriti o intossicati. Nelle settimane scorse Hamas aveva attaccato con complesse operazioni militari anche i valichi di Nahal Oz (due israeliani uccisi) e di Kerem Shalom.
In Israele c'è sbigottimento: «Ma come? - ha osservato un commentatore della radio militare - I palestinesi insistono per la apertura dei valichi e poi li attaccano, anche con autobombe ?»
Proprio la questione dei valichi è stata al centro dei colloqui del Cairo di una delegazione di Hamas. Secondo il leader di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, non è accettabile che una tregua fra Israele e Hamas non includa anche la fine dell'isolamento della Striscia, ossia la riapertura dei valichi chiusi ormai da un anno. Ieri dal Cairo hanno fatto ritorno due esponenti di Hamas, Jamal Abu Hashem e Halil al-Haya. Prevedono di consultarsi con la loro direzione politica. Poi forse faranno un annuncio pubblico.
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Francis*PAC
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