giovedì 22 maggio 2008

L´appello del Dalai Lama "Basta scontri, dialoghiamo", Erich Follath e Padma Rao - La Repubblica


L´appello del Dalai Lama "Basta scontri, dialoghiamo"!

DHARAMSALA - La rivolta in Tibet, le proteste contro la staffetta della torcia olimpica che non ha mai condiviso, le proposte per un compromesso con Pechino. Il Dalai Lama, leader del popolo tibetano, prosegue la sua visita in Europa e dopo la Germania ieri era a Londra.

Ha già ricevuto l´invito per la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici a Pechino?
«L´ho sempre detto: potrei andarci se mi invitassero. Ma, fino a questo momento, i cinesi hanno scelto un´altra strada: escludermi. E dare la colpa a me. Il Tibet Daily di Lhasa continua a definirmi criminale, traditore, separatista e poi, per bocca del capo del Partito comunista della Regione autonoma, "un lupo in abiti da monaco, un diavolo con un volto umano ma il cuore di una bestia". Ma non mi offendo, sono solo parole vuote».

Ma non può negare che oltre alle manifestazioni pacifiche dei monaci, che sono state brutalmente represse, i giovani tibetani a Lhasa si siano resi responsabili anche di incendi e saccheggi.
«Lo condanno, e mi rattrista vedere i miei concittadini tibetani agire in questo modo, non c´è nessuna giustificazione per la violenza. Ho proposto un´inchiesta internazionale sui fatti avvenuti in Tibet, che venga condotta da un´istituzione riconosciuta e indipendente. Ma una cosa è certa: sono stati in maggioranza tibetani innocenti a subire la brutalità della polizia e delle forze armate. Deploriamo la perdita di oltre 200 vite umane».

Ha pregato anche per i cinesi, compresi gli autori della repressione?
«Nonostante tutte le paure e le preoccupazioni, sono in pace con il mio inconscio, e dunque sono in grado di eseguire i miei compiti con una certa normalità. Non ho problemi a dormire. Forse questo è dovuto al fatto che prego anche per i cinesi, naturalmente. Per i loro leader. E anche per quelli che hanno le mani sporche di sangue».

Nello specifico, che cosa chiede alla Cina?
«I cinesi devono finalmente ammettere che esiste un problema tibetano. A differenza di altri disordini precedenti, questi hanno interessato non soltanto Lhasa, e non soltanto la cosiddetta Regione autonoma del Tibet. Questo travolgente e totale rigetto nei confronti del governo del Partito comunista e delle sue politiche non può essere semplicemente ignorato. Pechino deve capire che negli ultimi 50 anni è stato fatto qualcosa di terribilmente sbagliato. L´oppressione e la tortura non hanno prodotto nessun risultato in Tibet, e la rieducazione politica ha fallito. Ora le persone che sono al potere a Pechino, quei nove membri del Politburo le cui decisioni influenzano 1,3 miliardi di persone, si trovano di fronte a un bivio. Io spero che scelgano una politica radicalmente nuova, una politica realistica».

Quale strada pensa che imboccherà Pechino?
«La nostra posizione di larga autonomia per il Tibet è quella che offre le prospettive migliori. I tibetani devono avere la possibilità di prendere decisioni su tutte le questioni legate alla cultura, alla religione e all´ambiente. È qualcosa di completamente diverso dall´essere uno Stato indipendente. Se Pechino accettasse un modello di questo tipo, io posso garantire che non ci sarebbero più le crisi e i disordini che ci sono attualmente.

Molti tibetani considerano la staffetta della torcia olimpica sul monte Everest, sacro per i tibetano, e il percorso scelto a Lhasa, con il passaggio della torcia per il palazzo del Potala, antica sede del governo tibetano, come una provocazione. Lei non la pensa così?
«Se fossimo in un periodo di calma, non mi preoccuperei di cose del genere. Ma ora capisco le proteste, anche se naturalmente non le approvo. Ho anche raccomandato agli organizzatori della cosiddetta marcia per la pace, da qui a Dharamsala fino al confine con la Cina, di annullare il progetto, perché potrebbe portare a scontri con le guardie di frontiera armate. Ma tutto quello che posso fare è dispensare consigli, non posso sopprimere altre opinioni. Spero che i cinesi non useranno tutto questo come scusa per perpetrare un altro bagno di sangue».

Sente la nostalgia di casa, del Tibet?
«Nostalgia di casa? No. Casa è dove ti senti a case e dove ti trattano bene. Ed è così, naturalmente, in India, negli Stati Uniti, in Europa.
Ha rinunciato alla speranza di rivedere Lhasa e il palazzo del Potala, dove è cresciuto e dove ha governato il Paese?
«Oh no, niente affatto. Sono fiducioso che un giorno potrò ritornare».






(Copyright
Der Spiegel
La Repubblica
Traduzione
di Fabio
Galimberti)

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