Il giovane marocchino Chafik Elketani, 21 anni, che ieri mattina con la sua Mercedes ha travolto ed ucciso sette ciclisti sulla strada statale 18, a Lamezia Terme, nel Catanzarese, aveva la patente di guida. Ieri era stata diffusa la notizia che la patente gli era stata ritirata dalla polizia municipale, ma in relatà il ritiro era avvenuto alcuni mesi fa.
Il documento di guida è stato trovato dagli inquirenti in casa di una sorella del giovane, a Gizzeria. Intanto, oggi il giudice delle indagini preliminari doverbbe valutare gli atti predisposti dalla procura della Repubblica di Lamezia Terme e decidere la data dell'udienza per la convalida dell'arresto.
A 24 ore dall'incidente c'è chi ha deposto dei mazzi di fiori sul luogo del terribile schianto. Sull'asfalto in località Marinella, dove le macchine in transito rallentano brevemente quasi come una forma di omaggio alle vittime, ci sono ancora ben evidenti i segni di quanto accaduto, mentre ai bordi della strada sono stati lasciati mazzi di fiori. Uno anonimo, l'altro del Club dei ciclisti amatoriali di Catanzaro Lido. Con una dedica: «Sette angeli sono volati in cielo».
Alla camera ardente dove sono stati composti i corpi delle vittime oggi intanto è il giorno dello strazio e del dolore. «Figlio mio. Figlio mio», urla una madre che ha perso il figlio nel sotterraneo dell'ospedale di Lamezia Terme dove è ubicato l'obitorio all'interno del quale sono stati composti i corpi dei sette ciclisti. La donna è seduta su una panchina, attorniata da parenti ed amici. Volontari e poliziotti, attoniti osservano quanto sta accadendo tutto intorno. Sgomenti, come sgomenta è tutta la città. Lamezia Terme stamattina, infatti, sembra essersi svegliata in un'atmosfera surreale. In città non si parla d'altro: nei bar, nelle scuole, negli uffici ognuno cerca di capire di comprendere. Si leggono i giornali, si commentano le immagini viste in tv.
In quasi ogni famiglia, infatti, c'è qualcuno che conosce un morto, un ferito, un familiare. E così, da stamani, l'area antistante l'obitorio è un via vai di gente comune, parenti, amici, sacerdoti, che vogliono portare l'ultimo saluto ai loro cari, ai loro parrocchiani.
La famiglia del giovane marocchino che ha provocato la strage di ieri dei ciclisti era appena tornata da un pellegrinaggio a La Mecca e vive dalla metà degli anni '90 in contrada Mortilla, nei pressi della zona industriale di Gizzeria, dove si concentra una folta comunità maghrebina, a pochi chilometri dal luogo dove si è verificato il terribile incidente. Il padre del ragazzo, un grossista di prodotti di pelletteria e abbigliamento, «Mario» El Ketani, è ritenuto uno dei più importanti, se non il più importante, esponente della comunità marocchina del paese dove ha un capannone e dove, da circa vent'anni, esiste anche una moschea.
con lastampa.it
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