L’aveva annunciato e l’ha fatto. Lo scrittore jesino Ennio Montesi, dirigente di Democrazia atea e ’sbattezzatò, ha presentato un esposto alla procura di Ancona contro l’ospedale di Jesi, per essere stato costretto durante un ricovero a «subire l’imposizione forzata del simbolo del crocifisso», nonostante reiterate richieste scritte e verbali perchè quel «simbolo di morte» venisse rimosso. Montesi ha trasmesso l’atto anche al presidente della Repubblica e al Tribunale dei diritti del malato. Sostiene di aver subito «un’ingiustificata discriminazione religiosa, in violazione della legge 654 del 1975»: la legge ’Realè che recepì la Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e religiosa, poi aggiornata dalla legge ’Mancinò. Il rifiuto della Direzione sanitaria di accogliere la sua richiesta, gli avrebbe inoltre procurato «uno stato di angoscia, stress e indignazione» nefasto, proprio in un momento delicatissimo, pre e post intervento chirurgico. «Il simbolo del crocifisso - spiega - non mi rappresenta, offende la mia libertà di pensiero e in ogni istante mi ricorda che la nostra sovranità nazionale è limitata, per essere stata parzialmente ceduta all setta denominata ’Chiesa Cattolicà, e allo Stato straniero del Vaticano, dei quali non sono suddito essendo io sbattezzato (art. 7 del Dl 196 del 2003)». «Non esiste alcuna legge italiana che induca la direzione di un ospedale pubblico a imporre la presenza del crocifisso a un paziente» insiste lo scrittore, che fa riferimento pure agli art. 3 e 19 della nostra Costituzione e a due sentenze del 2008 e 2009 della Corte europea dei diritti dell’Uomo. |
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