martedì 14 settembre 2010

F1: Un cambio gomme perfetto Ecco il segreto della Ferrari

Meccanici di Maranello al lavoro durante il Gp di Monza
"In sala parto come ai box Abbiamo salvato due vite"

Tre secondi e mezzo è il tempo necessario a riempire un bicchiere d'acqua. O a
cambiare quattro gomme, se si è meccanici della Ferrari. Come è possibile?
Facile, a sentir loro: uno svita il dado, un altro toglie la vecchia ruota, un
altro ancora mette quella nuova e il primo la riavvita. Altri due sollevano e
riabbassano la monoposto con il cric. A quel punto il pilota riparte. Domenica
a Monza, nel Gran premio di Formula 1 che Fernando Alonso doveva vincere a ogni
costo per rimanere in corsa per il titolo mondiale, l'intera sequenza ha
richiesto tre secondi e mezzo. «Per l'esattezza, sono 3''4» correggono con una
punta di orgoglio i protagonisti dell'impresa. Se fossero stati 3''5 Alonso
sarebbe rimasto dietro a Button e con ogni probabilità non avrebbe vinto.

Ecco, dietro al campione che guadagna 25 milioni l'anno ci sono sedici
«ragazzi», qualcuno già con i capelli bianchi, contratto da metalmeccanici,
1200 euro che quasi raddoppiano fra trasferte, lavoro festivo e turni senza
orario, perché non la sai quando un motore si rompe, ma se succede va cambiato.
E in fretta. Una vita con la valigia: viaggi in aereo, circuiti, alberghi, le
uscite con la tuta rossa d'ordinanza che ha il fascino della divisa nell'
universo femminile che ruota intorno alle corse. Si dice: il pilota rischia.
Chiedetelo al meccanico della Hispania travolto domenica da Yamamoto durante un
pit stop e finito al pronto soccorso con una commozione cerebrale, quanto è
pericoloso lavorare in una corsia box quando a mezzo metro ti sfrecciano bolidi
da 700 cavalli. Sono i mediani della Formula 1, anni di fatica e a volte
casomai la gioia di vincere un Mondiale. O, più modestamente, di raccogliere al
volo la magnum di champagne che i piloti fanno cadere dal podio dopo ogni
successo. A Maranello quelli del pit stop li selezionano in una rosa di trenta
che svolgono comunque anche altre mansioni, sia in fabbrica sia in pista. È una
specie di squadra di calcio: 16 titolari e 8 riserve pronte a subentrare se c'è
da sostituire un musetto danneggiato, riaccendere un motore che si è spento o
estinguere un incendio. Ognuno con il proprio compito da portare a termine in
quei tre secondi e mezzo.

Lo chiamano pit stop, e già il nome rende l'idea della brevità. Fino all'anno
scorso la sosta includeva anche il pieno di benzina, che con i macchinari in
dotazione non durava mai meno di otto secondi. Gli addetti al cambio gomme,
quindi, avevano un margine di sicurezza. Dal 2010, il destino di una gara
equilibrata è nelle mani dei meccanici. Domenica sera, Fernando Alonso li ha
ringraziati («Siete stati perfetti, senza di voi non sarei qui a parlare da
vincitore»), mentre Felipe Massa si è lamentato («La mia sosta è stata un po'
troppo lunga, forse sarei arrivato secondo»). Il record assoluto la formazione
Ferrari l'ha stabilito in Canada: 3''3 e sorpasso Alonso-Hamilton riuscito. La
media del 2010 è di 3''7. Il segreto? Allenamento e tecnologia. Da inizio anno,
sono state fatte 1300 prove di pit stop. Sono tre le sedute settimanali di
preparazione, ognuna di trenta simulazioni cronometrate (una delle quali si
sarebbe conclusa in 3'' netti, ma i racconti dei meccanici sono come quelli dei
pescatori: in Red Bull vantavano un tempo di 1''8, poi hanno ritrattato). «In
pista lavoriamo dal giovedì al sabato, affrontando il weekend come le squadre
di calcio - spiega Diego Ioverno, responsabile operazioni in gara e montaggio
vettura e cambio -. Alla vigilia una rifinitura, la domenica relax prima della
partita». Ogni ruolo richiede caratteristiche fisiche e mentali specifiche. Gli
addetti ai carrelli devono essere robusti, visto che sollevano una vettura che
pesa fino a 800 chili con il pieno di benzina, mentre agilità, freddezza e
prontezza di riflessi sono i punti di forza di chi lavora sulle ruote. «È molto
più facile perdere una gara al pit-stop piuttosto che vincerla», sostiene
Ioverno. Monza è la splendida eccezione.

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