lunedì 4 ottobre 2010

Calcio: Da Cassano a Muntari quando vince l'egoismo

Chi non dà la mano al compagno al momento del cambio, chi non accetta la sostituzione, chi addirittura se ne torna a casa perché l'allenatore non lo porta in panchina. Giocatori che ancora non sanno cosa sia la squadra

IMBRONCIATI come bambini in castigo, immaturi come bambini e basta, ci sono calciatori che ancora non sanno cosa sia la squadra. Entità per nulla astratta, e assai più ampia rispetto agli undici titolari che la compongono.
Il "nuovo Cassano" (scommettiamo che ha la data di scadenza come lo yogurt?) viene sostituito contro il Bologna, non dà la mano al nuovo entrato Pozzi e s'infila nello spogliatoio senza passare dalla panchina. Il suo allenatore, Di Carlo, non ci perderà il sonno, e comunque non gliele manda a dire: "Avrei preferito che salutasse il suo compagno che stava entrando per provare a vincere la partita".

Il neo-giallorosso Marco Borriello viene tolto da Ranieri e si sente in dovere di imitare - nel mugugno - nientemeno che Totti, altro personaggio allergico ai cambi. "Peccato, sentivo che il gol stava arrivando" ha detto il centravanti, invece di prendere e portare a casa: se la Roma è penultima, la responsabilità sarà un po' di tutti (con o senza un cambio di vocale), dunque anche di Borriello, no? E che scusa sarà mai, quella di "sentire il gol che arriva"? Se Borriello dispone di simili poteri, li metta al servizio di Rosella Sensi e l'aiuti a trovare un vero compratore.

Infine, Sulley Muntari (Muntari, non Maradona) non va neanche in panchina: si volta, e torna a casa. Il capriccio pare dovuto all'esclusione, e forse a una semplice mancanza di proporzione, cioè del senso della medesima; qualcuno gli dica che, dopo la partenza del memorabile
Quaresma, è diventato lui l'interista più scarso in assoluto. Uno ci dev'essere, se ne faccia una ragione.

E comunque, a parte le piccole cassanate, le discutibili borriellate e le incomprensibili muntarate, il livello di queste reazioni dimostra che alcuni calciatori di serie A (guadagno medio annuale, 800 mila euro) possiedono, appunto, un senso della squadra inferiore a quello di qualunque ragazzino o ragazzina del minivolley o del minibasket. Dove si entra, si esce e si sta muti, perché la squadra è una cosa ampia, importante, impegnativa, collettiva, una cosa seria. Ed è di tutti.
(04 ottobre 2010)

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