giovedì 24 febbraio 2011

Dove mettere i risparmi per farli fruttare?


"La situazione in Nord Africa ha messo in allerta i mercati perché non si riesce ancora a capire bene quali conseguenze avrà sugli equilibri internazionali". Alla vigilia del 17esimo Congresso AIAF Assiom Forex ( 25-26-27 febbraio a Verona), Mario Noera, Presidente di AIAF-Associazione Italiana Analisti Finanziari, sceglie Affaritaliani.it per fare il punto sulla situazione dei mercati. E rassicura sull'Euro-debito: "La Germania farà di tutto per evitare il collasso di uno dei Pigs o dell'euro perché è troppo esposta nei confronti di quei Paesi". Sulle nostre banche Noera è ottimista: supereranno sia i nuovi stress-test sia Basilea 3. Le nuove regole però potrebbero rivoluzionare la natura delle Fondazioni. Infine, un consiglio per gli investitori: "Scegliete titoli corporate molto selezionati con una spruzzatina di mercati azionari di Est asiatico e Brasile". State lontani, invece, dai bond a lunga scadenza.

L'INTERVISTA

In Nordafrica ormai è caos. I mercati però non sembrano eccessivamente preoccupati, tanto che qualcuno parla di una semplice scusa per uno storno. Che sta succedendo?
"Non è vero che i mercati non sono preoccupati, direi piuttosto che non si è scatenato il panico. Ma solo perché ancora non è chiaro dove tutto questo porterà. In alcuni Paesi, come Tunisia e Egitto, forse il percorso si intravede, ma in Libia la situazione è molto più grave e incerta, tanto che la reazione dei mercati è stata più forte. Il punto è che mentre è facile intuire che stanno cambiando in maniera radicale lo scacchiere geopolitico mediorientale e forse anche gli equilibri internazionali, è quasi impossibile prevedere le implicazioni di medio e lungo termine: se questi eventi porteranno a degli squilibri permanenti per il petrolio o per il controllo delle vie di comunicazione. In Libia poi la cosa è molto complicata perché, a prescindere dal futuro di Gheddafi, si tratta di un Paese che per la sua struttura sociale è molto più simile all'Afghanistan e alla Somalia. Insomma, i mercati stanno alla finestra visto che per ora il quadro macroeconomico non sembra compromesso e il petrolio a 100 dollari non preoccupa in modo eccessivo, siamo stati abituati a quotazioni molto più alte".

Veniamo ai problemi di casa nostra. I Pigs continuano a preoccupare i mercati, l'euro è ancora sui massimi e la Merkel sembra perdere consensi in Germania. Come si evolverà la crisi dell'euro-debito?
"Bisogna premettere che quello che riguarda i Pigs è sì un problema delle loro finanze pubbliche e, per alcuni, dell'indebitamento estero, ma è soprattutto un problema dovuto alla mancanza di un governo economico europeo. Tutto quello che è andato male nel corso degli ultimi due anni è imputabile alla percezione dei mercati che l'Europa non fosse in grado di governare questi processi. Viceversa, tutti i progressi sono legati ai passi avanti che si sono fatti su questo terreno, come la volontà tedesca di arrivare, anche se alle sue restrittive condizioni, a delle soluzioni condivise tipo i Bond europei e il Fondo di salvataggio. Questa volontà politica non caccia sullo sfondo l'eventualità di una ristrutturazione di alcuni debiti, come quello greco che prima o poi dovrà avvenire, ma la colloca in un contesto concertato che allontana l'eventualità di un'uscita dall'euro di questi Paesi".

E' questa la vera paura dei mercati?
"Il vero schok che a fine 2009 e nel corso del 2010 è entrato nella testa degli investitori è che l'impensabile diventasse possibile, cioè che l'euro potesse collassare o che qualche Paese fosse costretto ad uscire. Fino ad allora queste due possibilità erano impensabili e dunque non c'erano spread, non c'era rischio-Paese, perché si credeva che l'Europa avrebbe compensato gli squilibri dei più deboli. Questo non è avvenuto, la Germania ha dato segnali molto forti che questo non poteva avvenire, ricordando addirittura che il trattato di Maastricht non lo permette, e nella testa dei mercati si è fatta strada l'idea che quello che prima era impensabile diventasse possibile. E sappiamo che quello che nella testa dei mercati appare possibile poi è facile che diventi probabile".

E ora è meno probabile?
 "Sì, perché anche Berlino ha preso atto di alcune cose che l'evidenza dimostrava. Evidenza grazie alla quale non sono mai stato pessimista. La Germania infatti è la prima che non può permettersi un collasso dell'euro e neppure un collasso dei periferici, essendo il maggiore detentore di titoli di quei Paesi. Insomma, c'è un problema interno anche lì: se dovesse fallire la Grecia o il Portogallo o addirittura la Spagna o, non pensiamolo neanche, l'Italia, fallirebbero anche le banche tedesche, a meno che non le salvi il governo, mettendo a rischio il proprio debito pubblico... Insomma, c'è un rischio talmente devastante che fa premio su qualunque orientamento politico".

A proposito di banche, quelle di casa nostra dovranno superare due importanti prove: i nuovi stress test e, soprattutto, Basilea 3. Sono pronte?
"Gli stress test saranno certamente molto più severi, perché per i regolatori europei il rischio di credibilità dopo la vicenda delle banche irlandesi è altissimo. Ma l'impressione, confortata dai pre-test della Banca d'Italia, è che anche sotto stress più severi gli istituti italiani confermeranno la loro buona salute. Proprio per questo Basilea 3 non è dirompente. Certo, sarà un fardello che pone degli oneri di capitalizzazione, ma è diluito su molti anni e permette un adeguamento graduale. Sicuramente ci sarà un sacrificio di redditività e una minore disponibilità di credito. Si tratterà di non distribuire dividendi e, in alcuni casi, ci sarà la necessità di ricorrere ancora al mercato".

Saranno contente le Fondazioni...
"Il vero tema, specificamente italiano, è che gli enti destinati a soffrire maggiormente Basilea 3 sono i grandi azionisti dei grandi gruppi bancari, cioè le Fondazioni. Il loro ruolo è determinate, perché sono gli unici investitori istituzionali che ha il nostro Paese. E ora si ritroveranno di fronte un problema inedito: far fruttare e diversificare il proprio portafoglio, riducendo l'esposizione al rischio della concentrazione su una singola banca. Oltretutto le Fondazioni erogano sulla base dei loro proventi, che per l'80% sono bancari, e quindi Basilea 3 avrà anche un impatto sociale. In quasi tutti i casi questi enti rappresentano per il territorio un polmone di finanziamento di iniziative sociali. Il vantaggio è che ora le Fondazioni potrebbero cominciare a pensare da veri investitori istituzionali, e sempre meno da azionisti esigenti, diversificando i propri investimenti su settori più remunerativi. Quindi nel corso di 5-6 anni potremmo assistere a una evoluzione delle Fondazioni".

Fin qui i grandi investitori. Ai piccoli, invece, che cosa consiglierebbe?
"Questo è un momento di grande passaggio: bisogna essere molto selettivi. Molto dipende poi dall'avversione al rischio. Comunque siamo di fronte alla possibilità di un graduale rialzo dei tassi nel prossimo biennio, e gli investimenti obbligazionari, a meno che non li si tenga fino a scadenza, posso essere soggetti a cadute dei corsi, anche rilevanti in caso di schok. Quindi gli investimenti obbligazionari a lungo termine sono per il momento sconsigliabili. Rimangono convenienti anche se poco remunerative, proprio per l'orizzonte di rialzo dei tassi differito, le obbligazioni a breve. Chi ha una minore avversione al rischio può invece guardare ai mercati azionari più rischiosi ma più promettenti, cioè gli emergenti, e a emissioni di titoli societari che hanno una buona remuneratività e, in alcuni casi, uno spread allettante rispetto all'effettivo rischio sottostante. Insomma, consiglio un portafoglio di titoli corporate molto selezionati con una spruzzatina di mercati azionari dell'Est asiatico e del Brasile".

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