lunedì 17 gennaio 2011

Contratti a partita Iva: Regime dei contribuenti minimi: come funziona la partita Iva "povera"

Fatture senza Iva e Irpef secca al 20%. Sono i principali vantaggi che possono avere gli autonomi che incassano meno di 30mila euro all'anno. Ma non a tutti conviene

Una riforma del lavoro per rispondere alle esigenze di flessibilità delle imprese e di stabilità dei lavoratori

Partita Iva non significa sempre imprenditore o libero professionista con redditi invidiabili. Lo sa bene la schiera di lavoratori autonomi - modernamente ribattezzati free-lance - che questa scelta più che farla l'ha subita. Molto spesso infatti sono le aziende che richiedono ai loro collaboratori di aprire la partita Iva. Un vantaggio per il committente, che non ha altri oneri oltre il puro costo del lavoratore (più il 20% di Iva che poi però scarica). Per il lavoratore invece si tratta di un altro pedaggio da pagare alla flessibilità e spesso alla possibilità di lavorare.

Il legislatore ha voluto fare un po' di differenza tra le "partite Iva", agevolando quelle più povere. Per questo motivo il precedente governo Prodi varò, con la legge finanziaria per il 2008, il "regime dei contribuenti minimi". Una semplificazione per i redditi inferiori a una certa soglia. Vediamo a chi si applica e quali sono i possibili vantaggi.

Chi può sceglierlo

Il regime può essere richiesto dalle persone fisiche residenti in Italia che non superano i 30.000 euro di compensi annui e che possiedono i seguenti requisiti (nell'anno precedente se sono già in attività):

     
  non hanno dipendenti o collaboratori (a progetto o occasionali), cioè non sono "sostituti d'imposta" (nel senso che non fanno trattenute fiscali per conto di altri soggetti da versare poi all'erario);

  non hanno spese per beni strumentali (cioè necessari alla professione, come affitti di locali, acquisto di attrezzi da lavoro, computer ecc.) superiori ai 15.000 euro;

  non vendono all'estero e non distribuiscono utili soci.


Attenzione: il limite dei 30.000 euro riguarda i compensi, cioè i ricavi, non il reddito (che equivale a ricavi meno spese).

Che cosa prevede

Le agevolazioni sono:

     
  un'Irpef secca del 20% come imposta sostitutiva della normale tassazione ad aliquote progressive;

  l'esenzione dall'Iva, che non deve essere inserita in fattura né versata al fisco;

  varie semplificazioni burocratiche: esonero dall'obbligo delle scritture contabili  e degli elenchi clienti e fornitori, nonché della comunicazione annuale Iva. E' sufficiente numerare progressivamente le fatture e conservarle (come anche quelle di acquisto per le spese da detrarre). Sulla fattura è necessario indicare la dicitura: "Operazione ai sensi dell'art. 1, comma 100, della Legge finanziaria 2008".


Attenti al tetto


Come sottolinea Altroconsumo, a fronte di questi vantaggi il regime può offrire anche qualche svantaggio.

Occorre innanzitutto valutare bene se c'è il "rischio" di superare il tetto dei 30mila euro:

     
  se si supera il tetto di meno del 50% (cioè fino a 45.000 euro di compensi) si perde l'agevolazione l'anno successivo;

  se si supera il tetto di oltre il 50% (cioè oltre 45.000 euro) il regime agevolato cessa nell'anno in corso e il contribuente deve rimanere nel regime ordinario per almeno 3 anni.


Inoltre, sarà dovuta l'Iva sulle operazioni dell'intero anno di superamento del limite.

Se superate il tetto e non lo dichiarate, le sanzioni già salate vengono aumentate del 10% se il maggior reddito accertato supera quello dichiarato di almeno il 10%.

Non conviene a tutti

Inoltre non è detto che questo regime convenga a tutti. A volte la tassazione ordinaria è più conveniente perché consente le detrazioni d'imposta mentre il regime agevolato no. Ad esempio, se un autonomo guadagna circa 30mila euro, con le detrazioni per familiari a carico e per una ristrutturazione della casa, finisce per pagare poco o niente di tasse, mentre il contribuente minimo paga comunque il 20%.

In sostanza il regime conviene soprattutto:

     
  a chi ha poche detrazioni e anche pochi costi da scaricare (a causa dalla indetraibilità dell'Iva);

  a chi ha altri redditi (ad esempio di lavoro dipendente) e può così tenere distinte le due tassazioni evitando l'aumento dell'aliquota progressiva

  a chi ha come clienti i privati perché, non dovendo aggiungere l'Iva sulla sua fattura, risulta più conveniente e quindi più concorrenziale rispetto a un professionista "ordinario".


Infine è da tenere presente che i contributi previdenziali (per l'Inps sono il 26,72%) restano per intero a carico del lavoratore, come succede per tutte le altre partite Iva, salvo un contributo (volontario) dell'azienda del 4%. Non così, invece, per i Cocopro i cui contributi vengono pagati per i due terzi dal datore di lavoro. (A.D.M.)

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