venerdì 3 settembre 2010

Motomondiale: Manuel Poggiali: «Ero il nuovo Rossi ma ora sono più felice» «Non ho rimpianti, ero troppo fragile. Purtroppo non avevo la forza mentale di Lorenzo»

L'intervista all'ex pilota ritiratosi nel 2008 a 25 anni

Lo chiamavamo il nuovo Valentino. Lui ora si accontenta di essere diventato un uomo nuovo. Manuel Poggiali, 28 anni, da San Marino, è uno dei casi più clamorosi di enfant troppo prodige per poter sopravvivere alle responsabilità. Campioncino nato fin da quando salì in minimoto a 10 anni, un titolo mondiale in classe 125 a 18 anni nel 2001, uno in 250 a 20 nel 2003 (al primo anno nella categoria, non ci riuscì neanche Rossi), poi il crollo, psicologico prima che tecnico, e il ritiro nel 2008, a soli 25 anni. Moto spenta. Basta corse. Una vita chiusa per provare ad aprirne un'altra con la compagna Michela, il figlio Claudio (2 anni a novembre), un lavoro al Comitato olimpico di San Marino («Prima facevo sport io, ero alla fine del percorso; ora cerco di mettere in grado gli altri di fare sport») e idee chiare su ciò che è stato e perché: «La mia è stata una carriera breve e intensa. Un'escalation continua, ogni anno crescevo e vincevo qualcosa. Tutto è arrivato in fretta».

Poi che accadde?
«Calo di motivazioni, la mia scarsa cattiveria, forse a volte mi hanno limitato i mezzi che mi davano. Ho cominciato a non vincere, è arrivata la frustrazone: anche un quarto posto sembrava insopportabile. Mi sono incasinato con la testa».

In che senso?
«Mi sono chiuso in me stesso, erano finite passione e divertimento. Correre mi sembrava un obbligo e ne soffrivano le relazioni. Per gli altri ero diventato un peso, noioso».

In realtà il primo stop fu nel 2007.
«Una specie di anno sabbatico. Per provare a capire».

In quel periodo fece anche il barista.
«Intanto chiariamo: io non me lo sono mai tirata quando ero campione, dunque non è mai stato un problema adattarmi. E poi sa che le dico? È stato un bel modo per iniziare ad avere un dialogo con le persone. Dovevo aprirmi e cercavo qualcosa che mi portasse in mezzo alla gente. E in questo senso il barista è un lavoro perfetto».

Quindi nel 2008 è risalito in moto.
«E avevo ancora voglia. Ma a quel punto è arrivata la paura».

Il peggior nemico di un pilota.
«Proprio così. Ho fatto delle brutte cadute e mi è venuta paura di farmi male. Con la pioggia addirittura non entravo neanche in pista. Un blocco peggiore di prima. Poi mi stava per nascere Claudio. Allora ho scelto di dire stop».

A metà stagione, addirittura.
«Continuare non aveva più senso per me, per la squadra, per gli sponsor. Meglio lasciare spazio a chi era più arrabbiato di me».

Dunque la nostra impressione di allora era giusta: Manuel è troppo fragile, schivo, orso, inadatto a questo mondo…
«Sì, ero fragile. E ai primi problemi mi sono fatto un po' travolgere».

Troppo perfezionista, forse?
«Sì. E il mio pregio si è trasformato in difetto».

Ora ha imparato a perdonarsi?
«Diciamo che sono diventato un po' più normale...».

Quanto ha inciso la morte di papà Claudio nel 1999?
«Tanto. Avevo 16 anni, era sempre stato il mio punto di riferimento. Lui mi dava la forza interiore e mi faceva ragionare sulle cose. Sapeva essere duro, mentre il resto della famiglia mi coccolava, forse troppo... Ci fosse stato lui, quei problemi li avremmo gestiti diversamente».

Fu lui a trasmetterle la passione?
«Sì, di questo lo ringrazierò per sempre. Io ci ho messo del mio in pista, ma se papà non mi avesse aiutato all'inizio non sarebbe iniziata la tua carriera».

Con il piccolo Claudio come si comporterà?
«Se la moto sarà la sua passione, nessun problema. Io da piccolo scoprii una cosa che mi piaceva e ne è nata una carriera. Ma la passione, se c'è, per qualsiasi sport, dovrà nascere da lui. Non sarò io a imporgliela».

Un tema di cui si parla molto in questi giorni dopo la morte di Peter Lenz, il pilota 13enne, a Indianapolis. Lei che ne pensa?.
«Per me è stata come una coltellata. Io vissi una vicenda simile in pista quando morì Kato: avevo corso poco prima. Certo, 13 anni sono pochissimi, ma lui ha scelto quello che gli piaceva. Dicono che sia immorale che i genitori consentano il rischio, ma così non ci sarebbe il motociclismo. Purtroppo il controllo totale non è possibile, quello che conta casomai è lavorare sulla sicurezza per limitare eventi simili».

Poggiali pilota con la testa di adesso che cosa sarebbe?
«Mah. Quel che è stato è stato. In fondo ho vinto dai 15 ai 22 anni e ho fatto un po' di storia del motociclismo italiano. Di sicuro, a essere meno fragile sarei ancora nel Motomondiale».

Colpa tutta sua?
«Non tutte. A volte ho avuto materiali inadatti, motori o gomme che andavano meno, ma questo succede sempre, anche adesso. È normale. Se vinci e vai bene le Case ti aiutano, se lotti per il settimo posto un po' meno. Nessuno scandalo».

L'abbiamo paragonata a Rossi e Biaggi. Sbagliavamo?
«Ho dimostrato di essere bravo. Come pilota mi do un voto alto. L'insufficienza è per il resto».

Come fu la storia del no al Festival di Sanremo?
«Era il 2004. Il giorno della presentazione del team Gilera, all'improvviso, mi dissero che alla sera sarei dovuto andare ospite al Festival».

C'è di peggio, dai.
«Sì. Ma era un periodo stressante, dopo aver vinto il Mondiale 250 non ho avuto neanche il tempo di godermelo, sempre in giro, foto, inaugurazioni. Faticavo con la testa. Lo vedevo come un peso da sopportare».

E così rifiutò.
«Proprio così. Avrei voluto saperlo prima, organizzarci, non fare tutto in fretta».

Conseguenze?
«Un casino. Mi dissero che me l'avrebbero fatta pagare. In effetti, a giudicare da certe modo che mi hanno dato poi, fu così. Forse potevano anche capirmi. Sapevano come sono, anzi come ero».

Lo rifarebbe?
«No».

Lei non ama neanche viaggiare, vero?
«Già. Non me lo sono mai spiegato. Strano per uno che faceva la mia vita, no? Ma mi mette tensione anche fare Rimini-San Marino. Mi stresso, ho voglia di arrivare in fretta, infatti prendo un sacco di multe...».

E' ancora fitness-dipendente?
«Sì, sempre di più. Mi rilassa, è la mia valvola di sfogo».

E col calcio come va? Lei, tifoso milanista, è un ottimo giocatore.
«Sì, ma ora, potendo fare palestra liberamente, ho perso un po' di agilità: sono tre volte più grosso di quando correvo!».

Guarda le corse di moto in tv?
«Dopo i due stop confesso che ho fatto fatica. Ora va meglio. E domenica sarò in pista a Misano».

Emozioni?
«Ogni tanto qualche turbamento. E poi sono critico, come si fa al bar».

Chi le piace di più?
«Marquez nella 125, un bel pilotino davvero».

E in MotoGp?
«Valentino è Valentino e con la Ducati farà grandi cose, ma il cambiamento di Lorenzo è stato qualcosa di incredibile. Avrei voluto io essere come lui».

Cioè come?
«Ha lavorato tantissimo a livello mentale, una capacità simile poteva venire comoda anche a me... Ma una volta a queste cose non si pensava troppo. Io me lo ricordo bene Jorge da piccolo, siamo stati anche compagni: era intrattabile, non sorrideva mai, arrivava nel box e manco ti salutava. Adesso è un'altra persona. Da quel punto di vista è il più avanti di tutti».

Beh, anche lei è cambiato molto e come capacità di autoanalisi non scherza.
«Ho avuto tempo di riflettere. Allora, portato dall'onda frenetica dello stress, non ho mai avuto tempo di capirmi».

Tornerà nell'ambiente delle moto?
«È un po' presto per dirlo. Per ora sto bene così, grazie. Magari organizzerò dei corsi guida tra un po'».

Sente di aver vissuto troppo in fretta? Con più calma sarebbe andata diversamente?
«Io sono contentissimo di com'è andata. Zero rimpianti. La carriera è finita presto, ma sono migliorato tantissimo dal punto di vista relazionale e mentale. .

È più felice adesso di allora?
«Sì. E un uomo più completo. Questo dico ai giovani e dirò a mio figlio quando crescerà: non ci sono solo i titoli mondiali nella vita».

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