giovedì 2 settembre 2010

Porno: tutti lo guardano, nessuno lo dice

Donna oggetto o donna liberata? Il mondo dell'hard divide: le femministe da una parte, i consumatori (uomini e donne) dall'altra. Ne parliamo con Simone Regazzoni, autore di Pornosofia

Il titolo, Pornosofia, è un omaggio all'indimenticato Franco Volpi, scomparso prematuramente un anno fa: fu infatti il filosofo e studioso heideggeriano a coniare il termine invocando la necessità di riconoscere alla pornografia - «Tutti la consumano ma nessuno sa cos'è» ebbe a dire Volpi - dignità di oggetto di pensiero. Un invito raccolto da Simone Regazzoni, che - più incline a vestire i panni del guastatore che non quelli del luminare un po' ingessato - non ha avuto il timore, nel libro edito da Ponte alle Grazie, di affiancare i nomi di Platone, Lévinas e Derrida a quelli di Moana, Rocco Siffredi e Alessia Donati. Libro che peraltro è costato a Regazzoni il posto di docente a contratto all'Università Cattolica di Milano: ed è proprio dopo l'incontro con il rettore che parliamo con il giovane filosofo 35enne.

Il porno, sostieni, non lascia nessuno indifferente
Sì, il fatto di sollevare sempre prese di posizione molto forti non è una caratteristica che appartenga a qualunque fenomeno di massa. Il porno sì, invece: posizioni di netto rifiuto da un lato, che costituiscono di fatto l'interpretazione dominante e dall'altro posizioni che la cultura americana definisce pro-sex (rispetto a quelle anti-sex). Il motivo? Il porno tocca fantasmi fondamentali: il soggetto, il desiderio, il dominio.

Hai affrontato questo tema proprio in un momento in cui era particolarmente sentito il dibattito sul velinismo in tv
Sì ed è stata una scelta voluta. Condivido le preoccupazioni di fondo sollevate dal dibattito e ritengo anch'io che la tv italiana sia sicuramente tra le più povere in relazione al modo in cui veicola l'immagine della donna. Tuttavia rimprovero a certa sinistra - della quale comunque mi sento parte - di cedere all'iper-politically correct: leggere, come fa Michela Marzano, gli stilemi pornografici solo alla luce del dogma della donna oggetto è riduttivo e poco sofisticato. Questo è ormai assodato anche per le femministe americane, alle quali mi rifaccio. La pornografia è, per un'attrice hard, una libera scelta esistenziale.

Questo dal punto di vista di chi agisce in prima persona la rappresentazione pornografica: ma non è la messa in scena stessa - considerata dal punto di vista dello spettatore - che oggettualizza il femminile?
C'è una certa complessità in questa rappresentazione che è insieme fiction e realtà. Il nodo è quello stesso messo in scena da tanta filosofia del Novecento: ossia la decostruzione del soggetto, il suo essere trasportato nella dimensione della carnalità. L'eros agisce propriamente così: negare che questa sia la dimensione propria dell'erotismo è riduttivo.

Quindi non trovi che nel porno si rappresenti e si faccia uso di un corpo macchinico?
Certamente l'esplorazione della carnalità e del desiderio smembrano il corpo nei suoi elementi macchinici, un po' come Picasso faceva su tela, così che il corpo perde la sua organizzazione e fluidità d'uso.

Il tutto nella totale assenza o quasi di una vera trama
Sì, ma le minime variazioni sul tema, la ripetizione ossessiva come forma di lavoro sul sesso sono proprie dell'esperienza erotica, così come la riduzione del corpo ad altro da sé.

Il mondo del porno è un mondo rigorosamente classificato per generi e sottogeneri: un approccio sistematico che piace alla mente maschile?
Si tratta della formalizzazione di fantasmi erotici che sono per lo più maschili nella misura in cui la fruizione del porno è prevalentemente maschile. Ma le cose stanno cambiando. Si parla ormai di un consumo al 23% femminile (Lévinas parlava di un 40%), il che porterà sempre più alla contaminazione dei gusti e dei generi. Se solo cominciano a lavorarci registi donne, il cinema porno cambia.

Ma questa razionalizzazione delle pulsioni non è un ossimoro, una contraddizione in termini?
La vedo più come una dialettica interna all'eros del resto già codificata. Basti pensare alla classificazione delle posizioni del kamasutra. Forse è anche un modo per contenere la potenziale distruttività della pulsione erotica, un modo per disciplinare i corpi. Nella messa in scena erotica la carne erompe, sì, ma in modo controllato. C'è, come nella tragedia, una rigidità delle maschere che tiene a bada le passioni.

Dicevi che l'hard è una libera scelta. Tuttavia ricordo una frase di Siffredi che mi aveva molto colpita: «E' un lavoro duro, la dignità scende a livelli molto bassi»
La libertà di scelta è un punto di partenza: nel momento in cui un'attrice mi dice di non aver subito alcun costrizione e di sentirsi libera e consapevole, assumo questo come un dato di fatto a meno di non ritenere che io stia parlando con una persona incapace di intendere e di volere. Una donna che fa la pornoattrice non è una minorata mentale. Detto questo sottoscrivo la frase di Siffredi. Del resto diceva il filosofo Agamben: «Non si può pensare di fare sesso conservando la propria dignità». I concetti della morale vengono meno a partire dalla forza dell'esperienza erotica: i corpi vengono gustati e assaggiati senza preoccupazioni per la dignità dell'altro.

Diceva il filosofo Carlo Sini: «Non è pensabile eliminare, nel sesso, la componente aggressiva»
Assolutamente sì, altrimenti non rimane che fare un discorso edulcorato sull'amore e il rispetto. Nel desiderio c'è violenza, c'è una dialettica di dominio e di potere, la forza stessa del desiderio è violenta. Anche nel lavoro concettuale c'è violenza nella misura in cui si vuol dar forma a qualcosa che resiste all'esser messo in forma. Del resto, in polemica col politicamente corretto, Derrida diceva: «Ci sono buone e cattive violenze». Si tratta piuttosto di gestire la forza delle pulsioni perché non degenerino in violenza incontrollata.

Moana, mito della cultura di massa, ha espresso a tuo dire «un'idea alternativa dell'esser donna». In che senso?
Moana - e non sono né il primo né l'unico a dirlo - è stata una grande attrice. All'epoca in cui è divenatta famosa ha mostrato un'idea radicalmente diversa dell'esser donna. Oggi è diverso.

Cosa abbiamo metabolizzato, tramite lei?
La libertà di autodeterminarsi, di vivere e rappresentare il desiderio e il sesso senza sensi di colpa. Moana ha portato nello spazio pubblico l'immagine di una donna intelligente, capace di tenere testa al mondo maschile e di scegliere liberamente di essere pornoattrice. Ha aperto una strada, che tuttavia rimane ancora per lo più da percorrere: non mi pare che la situazione delle donne nel nostro Paese sia rosea.

Quanto alla Cattolica, come siete rimasti?
Tutto rimane nel vago. Probabilmente non mi verranno rinnovati i contratti. La spiegazione? Mi hanno detto che non dipende né dal libro né dalle mie performance. Anzi, ho chiesto espressamente se uno solo dei miei 178 studenti avesse mai avuto da ridire a proposito dei miei corsi. Mi è stato risposto di no e questo per me è importante. A loro dire, il mio allontatamente dipende da un cambiamento nella gestione dei corsi. Ora attendo la comunicazione ufficiale, che mi verrà data a luglio. Nel frattempo mi è stato chiesto di consegnare la chiave dello studio che ormai frequentavo da tre anni.

Progetti per il futuro immediato?
Attendo offerte di docenze a contratto da altre università. Altrimenti vuol dire che mi prenderò un anno sabbatico per scrivere e per studiare.

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